DAL SOTTOSUOLO
FESTIVAL HIP HOP UNDERGROUND
Il movimento Hip Hop underground, per come lo concepiamo e lo viviamo noi, ha solide basi nel conflitto: nasce dalla strada, si pone in contrapposizione alla legge, si fa veicolo di protesta nei confronti del potere.
Sappiamo che un mondo sotterraneo vive facendosi beffa di tentativi di recupero del sistema di ciò che nel sottosuolo nasce e prolifera, proponendo un’alternativa reale all’immaginario gangsta-sessista e materialista di cui invece si nutre ampiamente l’Hip Hop commerciale.
Mettendo in opposizione al business il puro piacere creativo e la necessità di entrare in conflitto con il mondo sovrastante del dominio, riscopriamo il potenziale sovversivo dell’Hip Hop attraverso l’autoproduzione, l’illegalismo dei graffiti, l’appropriazione di spazi quali piazze e strade per praticare la breakdance o i cerchi di freestyle.
Chiamare una jam in uno squat anarchico per noi ha il significato di riportare l’attenzione degli affezionati dell’ Hip Hop verso quelli che sono per noi i modi di intendere non solo il conflitto ma anche “il fare festa”, le relazioni fra individui, l’attenzione verso x altrx, la solidarietà e il sostegno verso le individualità e i gruppi in lotta e/o colpite della repressione.
Per questo motivo accompagniamo l’organizzazione di concerti e serate ad una più ampia riflessione, che ci aiuti a creare un ambiente e una socialità il più possibile libera dalle diverse forme di oppressione diffuse nella società dominante.
Quindi non troverete qui dentro gente pagata per servire al bar o fare la pizza, bensì individualità che con il loro impegno intendono sostenere x detenutx ed x indagatx anarchicx e le pratiche conflittuali e di attacco diretto contro questo sistema d’oppressione, contro le sue istituzioni e contro i suoi gregari.
Ricorda inoltre che non sei in un locale ma in un posto occupato, all’interno del quale vivono persone che negli anni hanno sempre rifiutato ogni trattativa e compromesso con le istituzioni e che di conseguenza sono costantemente sotto attacco e a rischio di sgombero.
L’ingresso è volutamente a sottoscrizione libera perché la condivisione di musica e socialità non sia prerogativa esclusiva di chi se lo può permettere, lasciando libero chiunque di scegliere se e di quanto contribuire.
Tutto il ricavato di queste giornate andrà a sostegno dx prigionierx e indagatx per le operazioni repressive “Scripta Manent” e “Panico”
Nostra la speranza che da iniziative come questa si diffondano 1000 e più scintille sotterranee di sovversione, fatte di musica, riappropriazioni e azioni dirette.
Vogliamo infine dedicare queste giornate alla memoria di Pelao Angry, anarchico e rapper morto ammazzato da una guardia infame durante un esproprio armato in banca, in Cile l’11 Dicembre 2013. Che il suo ricordo possa ancora infiammare i nostri cuori, le nostre parole, le nostre azioni.
SOLIDARIETÀ A TUTTX X PRIGIONIERX ANARCHICX E RIBELLX
E A TUTTX X COLPITX DAI RECENTI ATTACCHI DELLO STATO A TORINO E IN TRENTINO
FUOCO A QUESTA SOCIETÀ-GALERA!
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ALCUNE RIFLESSIONI FONDAMENTALI
SU LINGUAGGIO, SOCIALITA’ E LA LORO SOVVERSIONE
Partiamo dal riconoscimento che il linguaggio non è qualcosa di neutrale, di uguale per tutti.
Lo apprendiamo fin da piccoli, principalmente nell’ambiente familiare ed a scuola, e in seguito nelle nostre reti di relazioni e negli ambienti che attraversiamo quali le piazze, i bar, gli spazi lavorativi, etc.
Da questi contesti esso è inevitabilmente influenzato: dalla scelta delle parole usate, alle sfumature di significato, fino al tono usato e la gestualità, e porta inevitabilmente con sé il lascito dell’ambiente dove si è sviluppato: riproducendolo, mettiamo in scena spontaneamente un bagaglio culturale.
Il linguaggio non è quindi libero dai rapporti di potere che sono esistiti ed esistono nella società, anzi contribuisce a riprodurli. Scegliendo alcune parole al posto di altre, cambiando i dettagli della descrizione, cambia anche l’immagine del mondo stesso. E questo non vale solo per quella che si crea nella nostra testa, ma essa influenza anche chi ci ascolta.
Un’ovvietà, giusto?
Un’ovvietà su cui vogliamo volontariamente insistere.
Sarà facile per tuttx comprendere che, a parte quando siamo soli, condividiamo la nostra vita con altrx, e con essi contribuiamo a creare qualcosa che travalica le singole individualità.
Le situazioni che creiamo quando siamo nel collettivo sono effettivamente di tuttx, contribuiamo a crearle tuttx assieme, con i nostri comportamenti, i nostri gesti, i toni della voce, le scelte che facciamo quando interagiamo con un’altra persona, così come con i nostri silenzi, il nostro abbassare lo sguardo, o mostrando disinteresse.
Siamo quindi continuamente plasmati dall’ambiente che abbiamo attorno e allo stesso tempo contribuiamo a crearlo. Questa consapevolezza dovrebbe condurci a responsabilizzarci di più circa i contesti sociali che viviamo, soprattutto quelli che creiamo appositamente ad uno scopo (concerti, manifestazioni pubbliche, assemblee, momenti conviviali, etc.). Ma siamo anche consapevoli che la nostra singola consapevolezza non basta: essa dovrebbe essere il più possibile diffusa tra tuttx per provare a vivere senza subire o attuare dinamiche di potere.
Proprio perchè il linguaggio non è neutrale ma espressione dei rapporti di potere dominanti in una società, e oltretutto contribuisce a riprodurli e perpetrarli, e se, d’altro canto, intendiamo costruire situazioni collettive il più possibile libere da essi, è importante e necessario porchè nel suo uso (così come in ogni aspetto della vita collettiva) la dovuta attenzione, per non renderci complici di questo sistema costruito sull’oppressione sistematica e lo sfruttamento.
Queste considerazioni ci è sembrato opportuno condividerle con chi partecipa al festival Hip Hop “dal Sottosuolo”, poichè in questi tre giorni verrà data alla parola, e quindi al linguaggio, un largo spazio e centralità. L’Hip Hop è per noi linguaggio e vita, narrazione incarnata, azione che si fa parola e si racconta, ma anche parola che incita all’azione. E’ quindi ben lungi dall’essere solo descrizione, non è un semplice assistere alle cose.
In quest’ottica l’attenzione all’uso del linguaggio sta a chi prende la parola, a chi ha un microfono in mano, a chi sale su un palco (che è già in un qualche senso una condizione di potere) ma anche a chi ascolta, non acconsentendo all’uso di parole o più in generale di un linguaggio che consideriamo offensivo, denigratorio, o che semplicemente riproduce una cultura che si fonda sull’oppressione e sulla discriminazione con il nostro silenzio.
Sabotiamo, anche se nel piccolo, la riproduzione del linguaggio del potere, partecipando alla creazione di un modo diverso di utilizzarlo: un linguaggio che tenda alla sovversione di se stesso, alla rottura col senso comune, un linguaggio che crei, in un processo costante di distruzione e creazione, significati altri e orizzonti nuovi.
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